Già nelle società moderne si è perso il rapporto intimo e personale tra il medico e il suo paziente, che era costante e consuetudinario nelle società pre-moderne. Oggi, nelle società tardo-moderne, è necessaria un’educazione al contrasto delle asimmetrie dei ruoli. Il medico aveva ed ha bisogno di un rapporto di autorità che lo legittimi agli occhi del paziente, facilitando così l’esercizio del percorso terapeutico, il paziente trova difficile comunicare il senso della sua vita quotidiana, delle sue relazioni all’interno e all’esterno della famiglia, degli stress sul lavoro e delle sue difficoltà a far fronte alle esigenze dei suoi ruoli multipli all’interno della società. D’altro canto, da parte del medico è necessario prendere in considerazione gli elementi sociali che hanno contribuito alla sindrome della malattia di un paziente, e gli elementi sociali che possono facilitare il recupero del paziente e la sua riabilitazione, così come spesso il paziente arriva a questo “ruolo” senza essere stato educato sui temi della malattia. Acquistano dunque sempre più importanza: le dinamiche relazionali, e in queste l’empatia, “un processo intenzionale di un soggetto che cerca di mettersi nei panni dell’altro passando attraverso una esperienza interpretativa di ciò che è vissuto come corpo proprio di un altro” (Ardigò,1997); l’attenzione ai fattori determinanti la salute; l’interpersonalità della cura (due soggetti informati). Nella relazione medico-paziente, dal modello consensuale, attraverso il modello conflittuale, si è arrivati oggi al modello evolutivo, che prevede diverse relazioni terapeutiche per diverse malattie. Culturalmente parlando, nel modello biomedico – scientista, individuabile tra la fine dell’ 800 e la metà del ‘900, si sviluppava una fiducia incondizionata nel medico e nelle possibilità della scienza. La medicina si basava prevalentemente sulla valutazione obiettiva dei sintomi e il corpo assumeva il valore di testo oggetto di cui il medico leggeva i segni, ed era l’unico che possedeva i codici di lettura. Il paradigma comunicativo di riferimento era quello informazionale. Oggi, nel modello bio-psicosociale o medico-sociale la salute viene intesa come uno stato di benessere, la professione medica è intesa come vocazione, l’attenzione del medico si rivolge allo studio del quadro cognitivo, affettivo e valoriale, la medicina si concentra sulla persona. Il paradigma comunicativo di riferimento è quello relazionale. In conclusione, emerge il bisogno di costruire con il medico un nuovo tipo di rapporto che, lungi dall’essere paritetico, prevede però una condivisione dialettica delle informazioni e in sostanza una partecipazione consapevole del paziente alla costruzione del proprio percorso diagnostico, terapeutico e clinico.
L’Alzeimer. Una malattia sociale / Liuccio, Michaela. - STAMPA. - (2015), pp. 73-92.
L’Alzeimer. Una malattia sociale
LIUCCIO, Michaela
2015
Abstract
Già nelle società moderne si è perso il rapporto intimo e personale tra il medico e il suo paziente, che era costante e consuetudinario nelle società pre-moderne. Oggi, nelle società tardo-moderne, è necessaria un’educazione al contrasto delle asimmetrie dei ruoli. Il medico aveva ed ha bisogno di un rapporto di autorità che lo legittimi agli occhi del paziente, facilitando così l’esercizio del percorso terapeutico, il paziente trova difficile comunicare il senso della sua vita quotidiana, delle sue relazioni all’interno e all’esterno della famiglia, degli stress sul lavoro e delle sue difficoltà a far fronte alle esigenze dei suoi ruoli multipli all’interno della società. D’altro canto, da parte del medico è necessario prendere in considerazione gli elementi sociali che hanno contribuito alla sindrome della malattia di un paziente, e gli elementi sociali che possono facilitare il recupero del paziente e la sua riabilitazione, così come spesso il paziente arriva a questo “ruolo” senza essere stato educato sui temi della malattia. Acquistano dunque sempre più importanza: le dinamiche relazionali, e in queste l’empatia, “un processo intenzionale di un soggetto che cerca di mettersi nei panni dell’altro passando attraverso una esperienza interpretativa di ciò che è vissuto come corpo proprio di un altro” (Ardigò,1997); l’attenzione ai fattori determinanti la salute; l’interpersonalità della cura (due soggetti informati). Nella relazione medico-paziente, dal modello consensuale, attraverso il modello conflittuale, si è arrivati oggi al modello evolutivo, che prevede diverse relazioni terapeutiche per diverse malattie. Culturalmente parlando, nel modello biomedico – scientista, individuabile tra la fine dell’ 800 e la metà del ‘900, si sviluppava una fiducia incondizionata nel medico e nelle possibilità della scienza. La medicina si basava prevalentemente sulla valutazione obiettiva dei sintomi e il corpo assumeva il valore di testo oggetto di cui il medico leggeva i segni, ed era l’unico che possedeva i codici di lettura. Il paradigma comunicativo di riferimento era quello informazionale. Oggi, nel modello bio-psicosociale o medico-sociale la salute viene intesa come uno stato di benessere, la professione medica è intesa come vocazione, l’attenzione del medico si rivolge allo studio del quadro cognitivo, affettivo e valoriale, la medicina si concentra sulla persona. Il paradigma comunicativo di riferimento è quello relazionale. In conclusione, emerge il bisogno di costruire con il medico un nuovo tipo di rapporto che, lungi dall’essere paritetico, prevede però una condivisione dialettica delle informazioni e in sostanza una partecipazione consapevole del paziente alla costruzione del proprio percorso diagnostico, terapeutico e clinico.File | Dimensione | Formato | |
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